Omelia di don Ivan Salvadori. Domenica della Divina Misericordia; 1 maggio 2011

II Domenica di Pasqua (anno A) o della Divina Misericordia


Omelia di don Ivan Salvadori
Maccio di Villa Guardia (Co), Santuario Diocesano Santissima Trinità Misericordia [1]

La misericordia di Dio (Trinità) nella vicenda di Tommaso

 

1. La figura di Tommaso, che i vangeli chiamano anche «Didimo», ossia «Gemello» (cf Gv 11,16; 20,24; 21,2), è associata, nella memoria comune, al dubbio del discepolo: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Tommaso rappresenta, in qualche modo, tutti i dubbi e i timori della fede; in lui si assommano tutte le paure del discepolo che vorrebbe credere nel Risorto e tuttavia stenta a consegnarsi totalmente.

2. L’evangelista Giovanni ci offre, però, anche un altro sguardo su Tommaso quando riferisce la decisione di Gesù di voler andare a Betania, in Giudea, per risuscitare l’amico Lazzaro (cf Gv 11,11). Tale decisione suscita l’immediata ostilità dei discepoli, i quali si ricordano che poco prima i Giudei avevano cercato di uccidere Gesù (cf Gv 8,59): «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (Gv 11,8).

È in questo contesto che Tommaso dice agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11,16). La decisione di Tommaso di seguire il Signore è certamente esemplare e offre anche a noi un insegnamento prezioso: chi si pone alla sequela di Cristo deve essergli fedele fino a identificare il proprio destino con quello del Maestro e a desiderare di condividere con lui anche la prova più alta, quella della morte[2]. Ciò che importa – sembra dirci Tommaso – è non separarsi mai da Gesù: dove va lui, lì deve essere anche il discepolo. La vita cristiana, in altre parole, attinge la sua forza dall’intima unione con il Signore, ossia dal dimorare nel suo cuore, come egli dimora nel nostro. Per questo Tommaso dice: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11,16).

Tommaso comparirà un’ultima volta, prima dei racconti della risurrezione, nel contesto dell’ultima cena. Qui Gesù annuncia ai suoi discepoli che li precederà nella morte; egli andrà innanzi a loro e preparerà loro un posto nella casa del Padre suo. E Gesù ricorderà a Tommaso, ma attraverso di lui anche a noi, che egli solo è «la via, la verità, la vita» (Gv 14,6). Egli è la via perché è la verità. E per questo può condurci alla vita. Perché solo nella verità l’uomo può raggiungere la vita, la vita vera.

3. Tommaso è però anche colui che nel giorno della Pasqua non crede che Gesù si sia mostrato ai suoi. Giovanni tace sul motivo dell’incredulità, anche se descrive la chiesa degli inizi come una chiesa timorosa: le porte del luogo dove si trovavano i discepoli – identificato dalla tradizione con il Cenacolo – erano chiuse per paura dei Giudei (cf Gv 20,19). Si tratta probabilmente di una paura che nasce, come spesso, dal confronto con il mondo, ma che trova certamente complicità nel cuore dell’uomo. Una cosa appare però evidente. Tommaso – e in ciò non sbaglia – sa che i segni qualificanti per riconoscere la presenza del Signore sono ormai le sue mani e il suo costato: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Dalle mani e dal costato si capisce quanto egli ci ha amati (cf Gv 1,13).

Prima ancora che sia Tommaso a pretendere di tendere la mano per metterla nel fianco del Risorto, è Gesù stesso che compare una prima volta ai discepoli, e augura loro la pace (cf Gv 20,19) mostrando loro le mani e il costato (cf Gv 20,20). È lui che, prendendo l’iniziativa, mostra alla chiesa quel fianco da cui, sulla croce, erano scaturiti sangue ed acqua (cf Gv 19,34): il sangue, segno dell’eucaristia e l’acqua, segno del battesimo ma anche – nel vangelo di Giovanni – dello Spirito Santo (cf Gv 3,5; 4,14; 7,37-39).

Gesù mostra ai suoi discepoli quel cuore trafitto che sulla croce si era aperto per permettere ad ognuno di entrare; ma, anche, per permettere che la stessa essenza di Dio – che è Misericordia – potesse uscire e raggiungere tutti gli uomini. Giovanni non si stanca di ricordare, ai discepoli della prima ora, che la Chiesa non è opera umana, ma scaturisce dal costato di Cristo morente sulla croce[3]. Come dal costato di Adamo scaturì Eva – dicevano i Padri –, così dal costato di Cristo è scaturita la Chiesa[4].

Prima ancora che l’uomo chieda di poter mettere il dito nel costato del Risorto, è Cristo stesso che apre quel cuore per comunicare a noi la sua vita.

4. L’errore che commette Tommaso è quello di voler passare dal piano del sensibile al piano del soprannaturale con le sue sole forze: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Ma se l’uomo non apre il suo cuore, anche il vedere e il toccare non bastano alla fede. Tommaso rappresenta così, in qualche modo, la mentalità tipica di ogni tempo: quella che pretende di verificare, toccandola, la realtà soprannaturale.

Ora domandiamoci: che cosa fa Gesù di fronte alla fatica di Tommaso? Presentandosi otto giorni dopo, egli si china su di lui, si abbassa – per così dire – al suo livello umano di comprensione e gli dice: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel tuo costato; e non essere più incredulo ma credente!» (Gv 20,27). Gesù conosce, nel suo amore, che cosa il discepolo voleva fare[5] e, mentre soddisfa la sua esigenza, lo invita ad una comprensione più profonda: «non essere più incredulo, ma credente!» (Gv 20,27). Ed è a questo punto che Tommaso emette la sua professione di fede: «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28), nella quale il pronome possessivo «mio» testimonia una profonda relazione con il Signore; proprio come quando Tommaso aveva espresso il suo desiderio di seguirlo fino alla morte (cf Gv 11,16).

Tommaso riconosce però anche – nella sua professione di fede – che in Gesù, Dio stesso, che è Trinità, si è reso vicino. Per questo dice: «mio Signore e mio Dio». Si realizzano così le parole che Gesù aveva detto un giorno ai discepoli: «in quel giorno voi conoscerete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv 14,20).

5. La misericordia di Dio – che è il messaggio centrale di questo Santuario – è proprio questo abbassarsi di Dio Trinità verso la creatura per attirarla a sé. In Dio la misericordia è però una cosa bene diversa dall’avere pietà. È piuttosto qualcosa di ben più profondo, perché la misericordia è l’amore stesso di Dio nell’atto di piegarsi continuamente verso l’uomo per attirarlo a sé. È – per usare un’immagine – una calamita che attira a sé ma, mentre attira a sé, si abbassa essa stessa verso la creatura. In breve: Misericordia significa riconoscere la dignità dell’altro e così risollevarlo[6].

6. Tutto ciò ci riporta alla memoria dell’amato papa Giovanni Paolo II, che proprio oggi a Roma viene proclamato beato. Fu proprio lui a volere che la seconda domenica di Pasqua si chiamasse anche «Domenica della Divina Misericordia»[7]. Lo stesso giorno in cui diede quest’annuncio, canonizzò anche suor Faustina Kowalska, una semplice suora di Cracovia, a cui il Signore affidò – a cavallo tra le due Guerre Mondiali – il Messaggio della Misericordia. «Figlia mia – aveva detto il Signore a suor Faustina –, parla a tutto il mondo della Mia inconcepibile Misericordia. Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e rifugio per tutte le anime […]. In quel giorno sono aperte le viscere della Mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia […]. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto»[8]. Il Signore le aveva anche detto: «La festa della Misericordia è uscita dalle Mie viscere; desidero che venga celebrata solennemente la prima domenica dopo Pasqua. L’umanità non troverà pace finché non si rivolgerà alla sorgente della Mia Misericordia»[9].

7. E qual è – ci domandiamo – la sorgente della Misericordia? Qual è la sorgente dalla quale scaturisce quell’acqua pura capace di dare pienezza alla vita del mondo? Tutta la tradizione cristiana, come anche l’esperienza spirituale di Maccio, ci dicono che tale sorgente è unicamente l’eucaristia. È nell’eucaristia, infatti, che la Misericordia di Dio – manifestata soprattutto nella Pasqua – viene riversata nei nostri cuori.

Così possiamo dire che la Domenica della Divina Misericordia non distoglie la nostra attenzione dal mistero della Pasqua. Piuttosto, in questa domenica l’uomo è invitato ad adorare la Trinità Misericordia per l’opera che ha compiuto nella Pasqua. Anche Paolo sapeva che nella passione del suo Figlio, Dio aveva compiuto tutto; ciò nonostante poteva dire di sé che completava nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo (Col 1,24). Forse perché i patimenti di Cristo sarebbero imperfetti? No, semplicemente perché il mistero della Pasqua raggiunge la sua pienezza solo di fronte alla risposta dell’uomo. Potremo così dire che la Domenica della Divina Misericordia è la risposta riconoscente dell’uomo al dono della Pasqua.

8. Carissimi, anche oggi – primo giorno dopo il sabato (cf Gv 20,19) – il Signore viene a visitarci per donarci la sua pace, cioè – nel linguaggio biblico – la sua salvezza. Al tempo stesso, però, ci dona il suo Spirito e ci affida una missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). La missione di Gesù – che con la sua vita ha introdotto nei rapporti umani l’«amore misericordioso» di Dio – continua ora nei suoi discepoli.

«Santissima Trinità, Misericordia infinita, io confido e spero in Te! Tu che ti sei donata tutta a me, fa’ che io mi doni tutto a Te! Rendimi testimone del tuo amore in Cristo, mio fratello, mio Redentore e mio Re».


 

[1] Letture della domenica: At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31.

[2] Cf Benedikt XVI, “Bleibt in meiner Liebe”. Katechesen über die Apostel, Freiburg – Basel – Wien 2007, 125.

[3] Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 5, in EV/1, 7.

[4] Cf Giovanni Crisostomo, Catechesi quarta postbattesimale ai neoilluminati, 17-18, in L. Zappella, ed., Le catechesi battesimali, Milano 1998, 224.

[5] Cf X. Léon-Dufour, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, IV., L’ora della glorificazione (Capitoli 18-21), Cinisello Balsamo 19982, 316.

[6] Cf C. Schönborn, Abbiamo ottenuto misericordia. Il mistero della divina misericordia, Bologna 2011, 28.

[7] Cf Giovanni Paolo II, Omelia per la canonizzazione della beata Maria Faustina Kowalska (30 aprile 2000).

[8] M.F. Kowalska, Diario, 699.

[9] Ibidem.

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