Frontiere di Pace, 26 febbraio 2024
Testimonianza
Magia dell’immedesimazione
Leggendo, l’articolo su Vatican News, febbraio 2024, del cardinale elemosiniere Conrad Krajewski, in occasione del secondo anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina, mi vengono in mente alcune intuizioni che probabilmente andrebbero svolte maggiormente; ecco alcuni pensieri, forse slegati: ” da due anni mi sento ucraino e soffro con loro..”, una delle prime frasi del cardinale.
Immedesimazione
Mi pare molto bello, straordinario, rappresenta la possibilità, enorme, che abbiamo solo noi umani di immedesimarci nelle storie degli altri, di emozionarci e di sentirci vivi; vivi dentro la storia delle persone che incontriamo durante le missioni di Frontiere di Pace , di essere empatici.
Ci si capisce e si comprende solo con l’empatia e l’immedesimazione. Chi di noi non si è immedesimato con la speranza di Julia e della sua bambina Veronika a Izjum oppure con la rabbia della mamma Irina che ha il figlio Roman sepolto in giardino sotto la bellissima aiuola fiorita nel prato, o con la sofferenza e il pianto di Natalia a Kharhiv, il cui marito è morto al fronte, per la libertà e dignità di un popolo intero? Chi non si è immedesimato con le vittime, con una vittima incontrata a Kharhiv, Kherson, Izjum, Kramatorsk, durante una delle nostre 24 missioni umanitarie in due anni?
Ciascuno di noi si è immedesimato in una storia, in una situazione reale incontrata e vissuta. Forse per poco, poche ore, pochi giorni; qui a casa, ovviamente, ciascuno ha la sua vita, dal cantiere all’ufficio, ma chi è venuto in missione si è immedesimato con queste persone, con queste storie, con loro ha sofferto, sperato e pianto.
E adesso, oggi, se l’immedesimazione continua come dovrebbe, siamo preoccupati, perché purtroppo, oggi, l’Ucraina è in difficoltà e questo significa milioni di persone a rischio di una ennesima fuga, pena la vita.
Pena la vita, perché non ci sarà perdono per chi si è compromesso e ha detto chiaro e forte che l’Ucraina ha il diritto di esistere e di autodeterminarsi come ogni altro singolo stato del nostro mondo. Non ci sarà perdono, ma solo vendetta come quella che ogni giorno questo popolo sperimenta, sotto bombe e droni, solo perché ha detto forte e chiaro, di voler cambiare la sua storia ed essere libero. E se rimarrà la vita non sopravviverà la libertà. Scegliere tra la vita e la libertà.
Noi andiamo in missione perché ci siamo immedesimati nelle storie di queste persone, e vogliamo continuare a farlo, ed essere dentro questa narrazione; essere noi stessi, da loro raccontati e parlati. Si, perché esponendoci così, alle loro sofferenze e speranze, un parte di noi diventa “loro”, parla e pensa come loro, le vittime; magia dell’immedesimazione. Una grande narrazione dove tutti siamo coinvolti in questa storia di libertà, amicizia ed alleanza.
“Alleanza”, il suo significato è chiaro. Proprio su questo, io, noi di Frontiere di Pace, vogliamo verificare il nostro andare a Kharkiv e Kramatorsk a marzo di quest’ anno. La missione umanitaria è importante, ma è solo una goccia, un segnale; abbracciare chi adesso è là, e ha paura che tutto crolli all’improvviso e si sente solo, questo per me è il centro della missione. Per questo siamo un gruppo che insieme svolge una missione umanitaria in un territorio di guerra; anzi il mio abbraccio e vicinanza, il nostro abbraccio e vicinanza è ancora ben poca cosa, se non è l’abbraccio e la vicinanza della comunità che ci manda e che rappresentiamo, deve essere l’abbraccio di tutti i volontari di Frontiere di Pace, di chi ha a cuore questo popolo. Questo è fondamentale, non andiamo per noi stessi come individui. Su questo dobbiamo riflettere, su questo ci giochiamo, nell’immedesimarsi nelle storie di chi incontreremo, nel soffrire con loro ci giochiamo, nel testimoniare queste storie qui, a chiunque voglia ascoltare, affinché tutte queste storie non cadano nell’oblio e nell’indifferenza (tanto non è la mia storia!), ma coinvolgano le nostre comunità; contagiare di immedesimazione, più che usare pensieri e ragionamenti.
Preghiera
Ammetto che ho pregato per la pace in Ucraina, dentro le celebrazioni greco cattoliche e insieme a padre Ihor Boyko e Sestra Olexia, sempre. Dentro i loro significati. Ho pregato per i desideri di pace propri di questo popolo, dentro le loro richieste e speranze, dentro questa narrazione e dentro questa storia di empatia, emozione e immedesimazione. È un modo. È una scelta. Non è l’unica scelta, non è l’unica modalità, non voglio giudicare le altre.
Guerra
La guerra si muove su meccanismi socio economici, interessi e potere; che sono gli stessi che potrebbero anche fermare la guerra o cambiarne gli esiti. In causa è il potere da usare e gestire. Dentro la storia è così, fuori, non esiste storia. Storia e potere da gestire, non ci si può sottrarre.
Pace
Per raggiungere la pace di cui parla il cardinale, fondata sul Bene (prima il Bene, poi il prossimo, infine io, dice il cardinale), psicologica, dell’ascolto, intima e personale, ci vuole tempo ed indubbiamente non è cosa tutta nostra, tutta nelle nostre mani. Tra la pace della politica, delle città e tra le città e quella personale fondata sul Bene del cardinale, sicuramente c’è un legame. Ma questo legame è spezzato, spezzato da sempre, dall’inizio della storia umana (il racconto di Caino e Abele lo rappresenta), prevale la logica esclusiva del potere. Bene e Potere, l’uno e l’altro dentro la storia, intessuti dentro.
Miracolo
Proprio per questo condivido la richiesta del miracolo per la pace in Ucraina, che chiede il cardinale, serve qualcosa di esterno, di non dentro la continuità e il solco della storia; della storia in generale e di quella storia lì, qui il futuro è soffocante, determinato e legato al passato, non nascerà mai nulla di improvviso, nuovo, sorprendente, “miracoloso”. I meccanismi sono rigidi e ripetitivi. Serve qualcosa che esca dagli schemi e sia sorprendente, che non tenga conto delle ragioni del passato.
Non tenere conto delle ragioni del passato.
Qualcosa di sorprendente, di esterno, che non tenga conto delle ragioni del passato, che rompa con il passato, con la sua continuità, con la storia. Siamo esseri storici e siamo nell’esserci, sempre. Per fare questo salto, fuori dalla storia e dalle sue logiche, dalle sue ragioni, serve un miracolo e le risorse della trascendenza. La possibilità che hanno gli umani, se vogliono, di trascendersi. Alla fine, immedesimarsi nell’altro e empatizzare con l’altro è già fare un salto fuori da se stessi e dalla propria storia, dal proprio esserci, incastrato nella piega storica che ci è stata data. Il miracolo del perdono. Forse.
Immedesimarsi con le sofferenze che l’altro ha patito e subito, unica strada possibile per il perdono, per la richiesta di perdono; da qui la strada per la pace è spalancata e praticabile. Il perdono come magia dell’immedesimazione; l’immedesimazione come possibilità di comprendere l’altro, le sue sofferenze patite e subite, perdonare e chiedere perdono; da qui, la novità e l’intrusione dell’inaspettato nella storia, il miracolo.
La capacità di provare empatia ed immedesimarsi nella storia dell’altro come fosse la mia storia.
Da qui, le missioni umanitarie, la solidarietà, il perdono, la pace. Lungo questo asse, forse, Frontiere di Pace può dare la sua testimonianza.
(Giambattista Mosa, Frontiere di Pace)