La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri “si arrangino”. Perciò, in questa XXXI Giornata Mondiale del Malato, nel pienao di un percorso sinodale, vi invito a riflettere sul fatto che proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza.
Nel Libro del profeta Ezechiele, in un grande oracolo che costituisce uno dei punti culminanti di tutta la Rivelazione, il Signore parla così: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio.
Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, […] le pascerò con giustizia» (34,15-16). L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli.
Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto.
Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli.