Grazie ai volti dei piccoli ucraini, ai volti delle donne e degli uomini in cerca di libertà”.
Altra giornata lunghissima e con pochi metri di connessione: anche per le dirette è stato complicato perché non ci si poteva spostare. Stamattina, dopo la messa celebrata solo per noi, siamo tornati alla biblioteca di Izjum per consegnare due pc donati dalla Caritas diocesana di Como. Poi, la tappa all’ospedale di Izjum incontrando la vicedirettrice e la responsabile delle infermiere per confrontarsi sulle esigenze del reparto di Oftalmologia: il bombardamento che ha colpito il blocco con le sale operatorie ha devastato completamente tutte le strutture e in particolare le attrezzature oftalmologiche.
Nel pomeriggio, grazie all’accompagnatore Michele (poliziotto arrestato e torturato dai russi), ci siamo addentrati fino ad altri villaggi rurali. Case, scuola, asilo e museo completamente distrutti a Dovgegnek: distribuzione di sacchetti col cibo e incontri preziosi. Natalyia, da 28 anni insegnava matematica nella scuola: con lei e l’omonima bibliotecaria siamo entrati in ciò che resta della scuola e della biblioteca. La preoccupazione di chi ci ha accompagnato in un territorio compromesso a causa delle mine, lasciate ovunque dai soldati russi, è stata la costante delle visite a un gigantesco cratere e alle aziende agricole che non possono più lavorare la terra: situata sulla linea del fuoco tra i due eserciti, liberata dagli ucraini ma minate dai russi. Abbiamo camminato in fila indiana, addentrandoci fin dove possibile e vedendo mezzi agricoli colpiti e bruciati (davano lavoro a 30 persone, con la capacità di produzione annua di 4.000 tonnellate di grano, mais e semi di girasole) .
Infine, la storia di Anatoly : ci ha fatto scendere con lui nel minuscolo sotterraneo in cui ha vissuto per nove mesi. Sta ricostruendo una casa sopra la sua officina, utilizzando pannelli e legno delle casse delle munizioni russe. Un vero emblema di autonomia resistente. Come la mamma che ha sepolto in giardino il figlio di 38 anni: il suo corpo è stato recuperato sei mesi dopo l’uccisione. Villaggi che sembrano (sono) fuori dal tempo e sono stati catapultati in una guerra assurda. Così l’ha definita Andri, di fatto di lingua russa, che ci ospita nella sua cantina : stasera ha invitato l’amico Yuri. Si sono conosciuti rifugiandosi insieme in cantina con decine di persone: in questo spazio umido c’era anche la mamma di Yuri, un’anziana che in questa cantina è purtroppo deceduta. Storie così, che aiutano a capire più in profondità un conflitto che gli stessi russofoni incontrati definiscono senza logica. “Non abbiamo bisogno di essere liberati da nessuno”.
Nicola Gini, giornalista di Primacomo – Quotidiano di informazione online.
Altri articoli:
Missione umanitaria in Ucraina, “Frontiere di Pace” racconta l’assurdità della guerra. (28 agosto 2023).
“Frontiere di Pace”, ritorno a Saltivka un anno dopo. Il gruppo di Maccio è tornato nel quartiere residenziale che, nella devastazione, prova a ripartire. (30 agosto 2023).
Nuova missione umanitaria in Ucraina dalla parrocchia di Maccio. Ventunesimo viaggio di Frontiere di pace, tre progetti a Izjum. (23 agosto 2023). – Nuova missione umanitaria partita dalla parrocchia di Maccio, a Villa Guardia, con nove volontari di Frontiere di Pace.
Altre testimonianze di Nicola Gini che raccontano la situazione in Ucraina le potete trovare sui social.
Per gentile concessione dell’autore riportiamo queste sue parole:
MERCOLEDI’ 30 AGOSTO, ore 6:19: Il lavoro: un diritto inalienabile, calpestato dalla guerra in Ucraina. Bombardare un enorme deposito di grano, mais e semi di girasole, bruciare mezzi agricoli, significa strappare i posti di lavoro a 30 persone nell’infinita campagna a Dovhenke, dove i terreni sono compromessi per la presenza delle mine sparpagliate dall’esercito russo. Una scuola distrutta significa anche firmare una condanna contro il lavoro degli insegnanti, come Natalia, che da 28 anni insegnava matematica nella scuola-orgoglio della sua piccola comunità rurale. Bersagliare con missili e colpi dei tank negozi e centri commerciali, come quelli visti in sequenza a Lyman, Kramatorsk, Izjum e nel villaggio di Studenok, significa togliere un salario sicuro a chi ogni giorno alzava la serranda per offrire un servizio e guadagnare il pane. Devastare una fabbrica, come il grande complesso che a Izjum produceva lenti per occhiali e altra strumentazione, significa eliminare centinaia di posti di lavoro. Sparare su un ospedale, conficcare missili sul blocco con quattro sale operatorie, come è successo a Izjum, significa fermare il fondamentale lavoro di assistenza e cura di migliaia di pazienti. Una guerra senza logica non considera, però, la capacità di adattamento di un popolo sì sofferente ma laborioso nel creare alternative di sopravvivenza. Ricavare un trattore mettendo insieme i pezzi di due macchine agricole, costruire un attrezzo per sminare un campo in “autonomia”, riconvertire un minuscolo spazio e trasformarlo in un negozio di emergenza che vende generi alimentari, inventare un accrocchio per ottimizzare un pannello solare. “Ho già una certa età, 61 anni: non posso più lavorare questa terra, minata. Ma vi invito a tornare qui tra cinque anni: sistemeremo tutto, ne sono sicuro”. Detto da Leonid, circondato dalla devastazione, è una prospettiva di fede clamorosa. (Nicola Gini).
Esserci. Ostinatamente, per scardinare logiche assurde. Cosa opporre alla violenza? La presenza accanto ai civili, ogni giorno bersagliati. È poco? Esattamente. Ma c’è chi aspetta quel poco come presagio di libertà.
(Foto di: Nicola Gini e Frontiere di Pace).