“Frontiere di Pace” – TESTIMONIANZE

Missioni di Pace. Le testimonianze dei viaggi

Senza confini, perché aiuta chi vive a 3.000 chilometri da qui: “Volti e voci della resistenza Ucraina”, il libro che racchiude testimonianze raccolte nelle oblast di Kharkiv e Donetsk, tra la gente di città e villaggi che invoca giustizia, libertà e pace. Tutto il ricavato dai libri sostiene le missioni umanitarie di Frontiere di Pace in Ucraina.

Missione umanitaria in Ucraina di “Frontiere di Pace

14-23 febbraio

Un pulmino bianco. Non il nostro, che di colore è nero. Al volante, suor Lukia Murashko. Ha 50 anni, due occhi accesi. Guida e chiacchiera. Lamenta un vocabolario italiano scarno: in realtà si esprime bene, ma quando dubita della parola utilizzata si affretta a verificare se sia appropriata oppure no. Donna rapida. Di fede schietta. La guerra le ha strappato un nipote. L’abbiamo conosciuta solo la sera precedente, nella chiesa del Perpetuo Soccorso a Zaporizhzhia. Chiesa greco cattolica, struttura lignea: internamente, un gioco di incastri verticale. Fuori, nel gelo di febbraio, puntualizza le sue cupole dorate. Segno di discontinuità dall’edilizia dei grandi agglomerati di cemento, retaggio dell’epoca sovietica. Suor Lukia si avvicina, tende la mano. Le chiediamo se ci accompagnerà nei villaggi della zona per consegnare aiuti umanitari a chi ne ha più bisogno. Lei ci spiazza: “Siete abbastanza bravi per andare nei villaggi?”. Poi sorride. Di un sorriso che interroga oltre superficiali slanci. Disvela mescolanza di prudenza – i droni, maledetti droni – e serenità. La notte corre veloce, la stanchezza accompagna al nuovo mattino. Visita a due internat: enormi strutture statali, ricovero per persone con disabilità mentale, la seconda – messa decisamente meglio della prima – accoglie anche minori in cura per gravi malattie. Mezzogiorno passato da un pezzo. Si corre all’appuntamento con suor Lukia e il suo pulmino bianco. Salgo a bordo: non c’è spazio sprecato. Cibo e prodotti per l’igiene personale, stipati. Sul sedile posteriore, accanto a me, Natalya Olexniavna Klejn, 54 anni. Donna minuta, che non rinuncia a vivere con altruismo. Natalya ha una figlia. Il marito, invece, è uscito di scena in fretta: quando la bimba aveva 6 anni. Natalya ha lasciato la periferia di Orikhiv, città di 14.000 abitanti – l’omonimo distretto ne contava più di 40.000 ma ormai ne resta solo un migliaio – ridotta a macerie dai bombardamenti russi. Ogni tanto torna nella sua casa in campagna: qualche arnia, alberi da frutto, decine di cani e gatti. Abitazione trasformata in un rifugio a quattro zampe: i civili bersagliati, quando fuggono, spesso non possono farlo coi propri animali da compagnia. Natalya porta crocchette, saluta uno a uno i rumorosi ospiti, nell’abbaio e miagolio corale. Ci guarda dritta negli occhi. Sorride. Testimonia bellezza. “Quando è domenica torno qui e invito a colazione le poche persone rimaste. Parliamo solo di cose belle. Per noi è fondamentale farlo, perché siamo circondati dalla guerra. Dalla distruzione”. Ascolto e lascio sedimentare. Serve tempo. Oltre le chiacchiere da divano, oltre la banalità del male e di chi lo giustifica. (di: Nicola Gini, giornalista – 14-23 febbraio)

Zaporizhzhia. L’incontro con i giovani e gli adulti di due internat, grandi strutture dove vivono persone disabili. Insieme ad alcuni di loro, in men che non si dica, lo scarico dei generi di prima necessità. Poi corsa a Orikhiv: dei 50.000 abitanti della città ne rimangono circa mille. Grandi palazzi distrutti dai bombardamenti, case rase al suolo. Persino la chiesa ortodossa è stata bombardata dai russi. Qua e là, nella periferia dove ci guida suor Lukia con l’amica Natalya e il paramedico Sasha, dalle case malandate emergono sopravvissuti. Ricevono gli aiuti umanitari e dicono grazie. Dicono anche di fare attenzione. Zona esposta ma mai occupata, continuamente sotto l’attacco dei droni. (20 Febbraio 2025 – Frontiere di pace).

  

   

    

Occhi che splendono (14-23 febbraio)

Testimonianza di Giambattista Mosa, presidente di Frontiere di Pace.

Un filo teso tra tre città, è stata la trentatreesima missione umanitaria di Frontiere di pace. Tre città diverse, lontane tra di loro, tutte al sud del paese: Odessa, Kherson e Zaporizhzhia.

Il filo teso che le unisce: gli sguardi e le mani delle tantissime persone incontrate. Un filo che si carica di significati e che diventa spesso, consistente.

Odessa: l’incontro con padre Оleksandr Smerecincknii nella chiesa greco cattolica, occhi neri profondi, sorriso aperto e parole pensate che emergono dal cuore, cappellano dei militari, svolge il suo servizio anche con le mogli e le mamme dei soldati. Sguardo profondo, stringe la mano forte, come forte e profonda è la sua missione “devi essere forte, non fare trasparire dubbi o fragilità se vuoi aiutare la gente, bisogna dare sicurezza, anche se tu hai dubbi e insicurezze”. Ancora: “dico ai soldati, il vostro servizio è per amore alle vostre famiglie, alla vostra terra, non per odio verso i russi”. L’accoglienza fraterna fatta di gesti, l’abbraccio forte del vescovo Mikhailo Bubniy, vescovo di Odessa e Kherson: “noi, anche in questa situazione, cerchiamo di seguire la logica del Vangelo”.

Kherson: Il filo degli sguardi e delle mani, arriva a Kherson nel monastero di san Volodymyr Монастир святого Володимира Великог dove scarichiamo la prima metà dei beni caricati sul bilico. Una sera con padre Ignaty Moskaiuk, Igumeno del monastero, mentre fuori i rumori delle esplosioni sono regolari di giorno come di notte, trasforma l’atmosfera della tavola, “i miei amici mi hanno detto di andare via da qui, questo è il punto in Ucraina più vicino al fronte, 5 km, l’altra sponda del Dnipro; rimango per la mia gente, per i pochi rimasti che ci chiedono di non lasciarli soli”; padre Agostino, che ci accompagna nei villaggi: “vi auguro la resistenza, tanti iniziano, vengono qui una volta poi basta”.

Il filo tracciato tra le due città, allaccia le mani e unisce gli sguardi, qui, si riconosce in questi nomi: resistenza, fedeltà e sacrificio.

Questo filo corre dentro la campagna, sulle strade sterrate, per evitare i droni e le strade controllate dai russi, si snoda nei villaggi di Muzikiska, Sonyachne, Fedorivka, Chornibaivka, dove distribuiamo i nostri beni. Qui gli sguardi bagnano gli occhi, gli abbracci non vogliono più slegarsi. Come non tornare da Maria di Fedorivka, che negli abbracci cerca protezione?a Muzikiska una signora ci ascolta, si commuove, pensando “all’Ucraina, a suo figlio e ai suoi nipoti”;

Zaporizhzhia: Il giorno successivo, il filo corre verso Zaporizhzhia, si ferma qualche ora, nella città di Krivyi Rih; padre Yaroslav Lys, alto, immobile, barba nera, mani strette, parla piano e con fatica, è rimasto un anno a servire nella città occupata di Donetsk “mi pareva di essere un alieno, controllato, spiato, sotto pressione”. Ha resistito fino che ha potuto. Il suo desiderio: tornare a Donetsk, città libera, dalla sua gente; uno sguardo che dice più delle sue parole, cerchiamo di capirci con un abbraccio, prolungato il più a lungo possibile.

Proseguiamo fino a Zaporizhzhia dove scarichiamo la seconda parte dei beni del bilico, qui, il filo ci lega tutti al vescovo Maksym Ryabuha vescovo di Donetsk, città ora occupata, che risiede temporaneamente a Zaporizhzhia. Racconta, ci parla, ci mette in guardia, bisogna leggere la realtà, vedere la verità, riconoscerla, “la pace vera, necessita della conversione del cuore”, se questa manca diventa un inganno. Pace, libertà dignità e giustizia per il popolo ucraino.

Il filo qui, grida la “verità”. La verità contro la propaganda, pace e verità unite, riconoscere la verità o la menzogna delle intenzioni dell’altro, “sono stato educato bene, l’altro che incontro l’ho sempre pensato buono”.

Incontriamo per la prima volta suor Lucia Murashko Lukya Murashko dell’ordine di san Basilio Magno. Con lei andiamo nei villaggi di Preobazhenka e Orikhiv. Siamo a 10km dal fronte. Edifici distrutti, poche persone rimangono nei villaggi, hanno paura per noi. Anziani soli, come Anatolii, giovani come Tania che rimane per non abbandonare i suoi genitori. Natalia torna per i suoi cani, appena la vedono le buttano addosso un affetto incondizionato, finalmente è tornata a casa; siamo già in macchina, una signora chiama suor Lukya, la guardo, si guardano in silenzio, gli occhi bagnati di lacrime e commozione, dicono qualcosa di indicibile a parole. Mi colpisce profondamente questo sguardo e questi sguardi muti, sono sguardi dell’anima.

La guerra taglia e separa, il filo che ostinatamente teniamo in mano unisce, al di là dei pensieri e dei ragionamenti. Anzi, pensieri e ragionamenti sono poca cosa rispetto alla profondità di questo filo che unisce le anime e i cuori. Il filo ci unisce con gli abbracci e gli occhi, sguardi incrociati che vogliono attaccarsi al cuore, segnato, dell’altro incontrato. Non lasciarlo più.

Qui il filo dice davvero l’indicibile, non dice, non spiega; mostra, mostra come una icona abbagliante l’innocenza delle vittime e il male del carnefice.

Suor Lukya ci contagia della sua energia, ci coinvolge dentro la sua missione. Incontriamo anche un giovane prete, padre Oleksander, rimasto nella città di Melitopol occupata, su di lui la pressione degli occupanti, giudicato e bollato come “nazista”, i cattolici sono il male. Infine espulso, buttato in strada percorre 15 km per poi essere di nuovo al sicuro in Ucraina.

Il suo desiderio: tornare a Melitopol, libera.

Il filo fa un salto di 3000km e torna a casa nella chiesa di Maccio a Villa Guardia, santuario Trinità Misericordia, la sera del 19, nella preghiera condivisa tra comunità, con il vescovo di Donetsk Maksim Ryabuha e il vescovo di Como, Cardinale Oscar Cantoni. Anche qui il filo vuole unire strettamente due chiese sorelle e le comunità. Un filo, stretto nella mano ferma di padre Ihor Boyko che accompagna due comunità a comprendersi reciprocamente. Al di là di ogni ragionamento, ha posto il volto delle comunità ucraine di fronte al nostro e noi possiamo solo vederne lo splendore.

Noi siamo qui, in Ucraina, ma portiamo tutti nella nostra missione. Le nostre comunità si uniscono alle comunità ucraine tramite la chiesa greco cattolica, grazie a padre Ihor Boyko, in solidarietà e vicinanza; come comprendere che pace, libertà e giustizia chiedono sacrificio? Il sacrificio che il popolo ucraino sta pagando, forse per tutti.

Questo filo lanciato tra comunità, che serpeggia da tre anni lungo le nostre missioni dal nord al sud dell’ Ucraina, da Kharkiv, passando per Kramatorsk, fino a Zaporizhzhia e Kherson, si raggomitola e risplende manifestando tutta la sua forza, negli occhi lucidi, commossi di questa signora senza nome, che guarda suor Lukya, perché in lei, in questi occhi, ci sono tutti i nomi e gli occhi, di tutti i bambini, di tutte le donne e degli uomini che abbiamo incontrato e che incontreremo ancora.

Qui gli occhi dicono davvero l’indicibile, non dicono, non spiegano: mostrano, mostrano come una icona abbagliante l’innocenza delle vittime e il male del carnefice.

Occhi che splendono commossi, denunciano il male subito , chiedono giustizia, desiderano la pace, risplendono di bontà e bellezza.

Immagini di @Giambattista Mosa e Nicola Gini (per gentile concessione di Frontiere di Pace).

a Zaporizhzhia, Ukraine

Frontiere di Pace, 26 febbraio 2024

Testimonianza

Magia dell’immedesimazione

Leggendo, l’articolo su Vatican News, febbraio 2024, del cardinale elemosiniere Conrad Krajewski, in occasione del secondo anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina, mi vengono in mente alcune intuizioni che probabilmente andrebbero svolte maggiormente; ecco alcuni pensieri, forse slegati: ” da due anni mi sento ucraino e soffro con loro..”, una delle prime frasi del cardinale.

Immedesimazione

Mi pare molto bello, straordinario, rappresenta la possibilità, enorme, che abbiamo solo noi umani di immedesimarci nelle storie degli altri, di emozionarci e di sentirci vivi; vivi dentro la storia delle persone che incontriamo durante le missioni di Frontiere di Pace , di essere empatici.

Ci si capisce e si comprende solo con l’empatia e l’immedesimazione. Chi di noi non si è immedesimato con la speranza di Julia e della sua bambina Veronika a Izjum oppure con la rabbia della mamma Irina che ha il figlio Roman sepolto in giardino sotto la bellissima aiuola fiorita nel prato, o con la sofferenza e il pianto di Natalia a Kharhiv, il cui marito è morto al fronte, per la libertà e dignità di un popolo intero? Chi non si è immedesimato con le vittime, con una vittima incontrata a Kharhiv, Kherson, Izjum, Kramatorsk, durante una delle nostre 24 missioni umanitarie in due anni?

Ciascuno di noi si è immedesimato in una storia, in una situazione reale incontrata e vissuta. Forse per poco, poche ore, pochi giorni; qui a casa, ovviamente, ciascuno ha la sua vita, dal cantiere all’ufficio, ma chi è venuto in missione si è immedesimato con queste persone, con queste storie, con loro ha sofferto, sperato e pianto.
E adesso, oggi, se l’immedesimazione continua come dovrebbe, siamo preoccupati, perché purtroppo, oggi, l’Ucraina è in difficoltà e questo significa milioni di persone a rischio di una ennesima fuga, pena la vita.
Pena la vita, perché non ci sarà perdono per chi si è compromesso e ha detto chiaro e forte che l’Ucraina ha il diritto di esistere e di autodeterminarsi come ogni altro singolo stato del nostro mondo. Non ci sarà perdono, ma solo vendetta come quella che ogni giorno questo popolo sperimenta, sotto bombe e droni, solo perché ha detto forte e chiaro, di voler cambiare la sua storia ed essere libero. E se rimarrà la vita non sopravviverà la libertà. Scegliere tra la vita e la libertà.

Noi andiamo in missione perché ci siamo immedesimati nelle storie di queste persone, e vogliamo continuare a farlo, ed essere dentro questa narrazione; essere noi stessi, da loro raccontati e parlati. Si, perché esponendoci così, alle loro sofferenze e speranze, un parte di noi diventa “loro”, parla e pensa come loro, le vittime; magia dell’immedesimazione. Una grande narrazione dove tutti siamo coinvolti in questa storia di libertà, amicizia ed alleanza.

“Alleanza”, il suo significato è chiaro. Proprio su questo, io, noi di Frontiere di Pace, vogliamo verificare il nostro andare a Kharkiv e Kramatorsk a marzo di quest’ anno. La missione umanitaria è importante, ma è solo una goccia, un segnale; abbracciare chi adesso è là, e ha paura che tutto crolli all’improvviso e si sente solo, questo per me è il centro della missione. Per questo siamo un gruppo che insieme svolge una missione umanitaria in un territorio di guerra; anzi il mio abbraccio e vicinanza, il nostro abbraccio e vicinanza è ancora ben poca cosa, se non è l’abbraccio e la vicinanza della comunità che ci manda e che rappresentiamo, deve essere l’abbraccio di tutti i volontari di Frontiere di Pace, di chi ha a cuore questo popolo. Questo è fondamentale, non andiamo per noi stessi come individui. Su questo dobbiamo riflettere, su questo ci giochiamo, nell’immedesimarsi nelle storie di chi incontreremo, nel soffrire con loro ci giochiamo, nel testimoniare queste storie qui, a chiunque voglia ascoltare, affinché tutte queste storie non cadano nell’oblio e nell’indifferenza (tanto non è la mia storia!), ma coinvolgano le nostre comunità; contagiare di immedesimazione, più che usare pensieri e ragionamenti.

Preghiera
Ammetto che ho pregato per la pace in Ucraina, dentro le celebrazioni greco cattoliche e insieme a padre Ihor Boyko e Sestra Olexia, sempre. Dentro i loro significati. Ho pregato per i desideri di pace propri di questo popolo, dentro le loro richieste e speranze, dentro questa narrazione e dentro questa storia di empatia, emozione e immedesimazione. È un modo. È una scelta. Non è l’unica scelta, non è l’unica modalità, non voglio giudicare le altre.

Guerra
La guerra si muove su meccanismi socio economici, interessi e potere; che sono gli stessi che potrebbero anche fermare la guerra o cambiarne gli esiti. In causa è il potere da usare e gestire. Dentro la storia è così, fuori, non esiste storia. Storia e potere da gestire, non ci si può sottrarre.

Pace
Per raggiungere la pace di cui parla il cardinale, fondata sul Bene (prima il Bene, poi il prossimo, infine io, dice il cardinale), psicologica, dell’ascolto, intima e personale, ci vuole tempo ed indubbiamente non è cosa tutta nostra, tutta nelle nostre mani. Tra la pace della politica, delle città e tra le città e quella personale fondata sul Bene del cardinale, sicuramente c’è un legame. Ma questo legame è spezzato, spezzato da sempre, dall’inizio della storia umana (il racconto di Caino e Abele lo rappresenta), prevale la logica esclusiva del potere. Bene e Potere, l’uno e l’altro dentro la storia, intessuti dentro.

Miracolo
Proprio per questo condivido la richiesta del miracolo per la pace in Ucraina, che chiede il cardinale, serve qualcosa di esterno, di non dentro la continuità e il solco della storia; della storia in generale e di quella storia lì, qui il futuro è soffocante, determinato e legato al passato, non nascerà mai nulla di improvviso, nuovo, sorprendente, “miracoloso”. I meccanismi sono rigidi e ripetitivi. Serve qualcosa che esca dagli schemi e sia sorprendente, che non tenga conto delle ragioni del passato.

Non tenere conto delle ragioni del passato.

Qualcosa di sorprendente, di esterno, che non tenga conto delle ragioni del passato, che rompa con il passato, con la sua continuità, con la storia. Siamo esseri storici e siamo nell’esserci, sempre. Per fare questo salto, fuori dalla storia e dalle sue logiche, dalle sue ragioni, serve un miracolo e le risorse della trascendenza. La possibilità che hanno gli umani, se vogliono, di trascendersi. Alla fine, immedesimarsi nell’altro e empatizzare con l’altro è già fare un salto fuori da se stessi e dalla propria storia, dal proprio esserci, incastrato nella piega storica che ci è stata data. Il miracolo del perdono. Forse.

Immedesimarsi con le sofferenze che l’altro ha patito e subito, unica strada possibile per il perdono, per la richiesta di perdono; da qui la strada per la pace è spalancata e praticabile. Il perdono come magia dell’immedesimazione; l’immedesimazione come possibilità di comprendere l’altro, le sue sofferenze patite e subite, perdonare e chiedere perdono; da qui, la novità e l’intrusione dell’inaspettato nella storia, il miracolo.

La capacità di provare empatia ed immedesimarsi nella storia dell’altro come fosse la mia storia.

Da qui, le missioni umanitarie, la solidarietà, il perdono, la pace. Lungo questo asse, forse, Frontiere di Pace può dare la sua testimonianza.

(Giambattista Mosa, Frontiere di Pace)

8 Novembre 2024

La nostra trentunesima missione umanitaria è partita nel pomeriggio dall’oratorio di Maccio. Nostra, nel senso più ampio del termine: include i volontari Luca, Laura, Marco, Giorgio e Paolo in viaggio con due furgoni, il gruppo che continua a lavorare alla base, chi si unirà a noi nel corso del viaggio, i molteplici sostenitori e benefattori che donano generosamente, gli amici che in Ucraina attendono il carico di circa 3.000 chilogrammi di generi di prima necessità e soprattutto un abbraccio fraterno. Includere è praticare Frontiere di Pace.

https://linktr.ee/frontieredipace

EMERGENZA LIBANO    La raccolta continua

Continuiamo a raccogliere:
CIBO 
Materiale per l’IGIENE PERSONALE

Donazioni per spedire il container di aiuti umanitari

Destinazione: Liceo statale di Ras Beirut, che sta accogliendo gli sfollati della guerra ❤️

⚠️ NOTA IMPORTANTE ⚠️

⛔️ Non raccogliamo più vestiti, ne abbiamo ricevuti in grande quantità. Grazie di cuore

Ora serve concentrarsi su:

✅ CIBO
✅ IGIENE

✅ DONAZIONI

Insieme possiamo fare la differenza!

“UN CONTAINER PER NATALE”

(per gentile concessione di Frontiere di Pace)
canale YouTube: Frontiere di Pace

4 Novembre 2024

Cinque pani, due pesci, un container

… “Ecco, oggi come 2000 anni fa in Palestina siamo davanti ad una folla che scappa, una folla si riversa sui marciapiedi di Beirut e proviamo compassione; siamo davanti a bisogni immensi e abbiamo poco, tristezza e sbalordimento, una folla affamata; ma noi “non abbiamo che cinque pani e due pesci”, “portatemeli qua…. tutti mangiarono e furono saziati”; un racconto straordinario di 2000 anni fa in Palestina, che nasce dal vedere, dal provare compassione e dallo scoprirsi impotenti.

Noi non possiamo fare tutto ed agire sui grandi meccanismi che devastano la vita delle persone e dei popoli, però possiamo fare un container, inviarlo su una nave fino al porto di Beirut e rispondere alla richiesta di aiuto di alcuni dei centri di accoglienza di questa città” …  leggi l’articolo su : frontieredipace.wordpress.com

cosa viene raccolto:

-SCATOLAME A LUNGA CONSERVAZIONE: TONNO, CARNE, SARDINE, LEGUMI …
-LATTE IN POLVERE E OMOGENEIZZATI
-STOVIGLIE E PRODOTTI PER PULIZIA DELLA CASA
-PRODOTTI PER L’IGIENE PERSONALE, TRA CUI SAPONE LIQUIDO, CARTA IGIENICA, BAGNOSCHIUMA, SHAMPOO, -DENTIFRICIO
-PANNOLINI E ASSORBENTI
-BIANCHERIA INTIMA E VESTITI INVERNALI PER TUTTE LE ETÀ
-FARMACI DA BANCO E PER MEDICAZIONI

Emozioni, desideri, sogni

(Emergenza Libano. L’incontro con il Console Generale del Libano).

“Abbiamo visto centinaia di migliaia di persone abbandonare in tutta fretta le loro case, la loro terra, per sottrarsi ai bombardamenti e alla guerra. Questa scena, purtroppo già vista in altri contesti, ci ha toccato nel profondo, ha stimolato emozioni che ci hanno messo in movimento.

Le emozioni muovono e fanno nascere desideri.

Il nostro desiderio è di aiutare gli sfollati che adesso sono accolti nei centri di accoglienza di Beirut.
Il nostro sogno, fondato su emozioni e desideri, è per Natale, inviare un container nel porto di Beirut!

Ci siamo organizzati e abbiamo preso contatti con il Console Generale del Libano il dottor Khalil Mohamad, padre Assad Saad della chiesa maronita libanese cattolica di Milano e il dottor Camille Eid libanese giornalista di Avvenire.

Una goccia, nel mare dei bisogni e dell’ingiustizia, ma, insieme, potrebbe diventare l’inizio di un processo di solidarietà, amicizia e vicinanza tra comunità, che non si piegano a logiche di separazione, esclusione e indifferenza. Facciamo che questo desiderio diventi un sogno, realizzato, insieme.”

(Testo e immagini per gentile concessione di Frontiere di Pace).

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DIARIO UCRAINA

Ucraina e Parrocchia di Maccio – 15 luglio 2024.

 

“Frontiere di Pace” incontra Papa Francesco – 7 dicembre 2024

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